LOCA’S IN(side)LAP – Roberto Locatelli, Campione del Mondo della 125 nel 2000 ed ora Team Manager di Fantic Racing Moto2, questa volta non ci fa entrare solo nel box ma direttamente nella mente di un pilota. Ragazzi all’apparenza normali che, una volta in sella alla loro moto, ci fanno emozionare con imprese fuori dal comune. Come quella di Aron Canet al GP di Francia, conquistando la Pole Position appena due settimane dopo l’operazione al piede sinistro e lottando per il podio fino all’ultimo giro. Da vero guerriero.
“Provo a spiegare quello che noi viviamo come piloti, ciò che sono stato io e ciò che sono oggi i piloti, perché lo stampo è quello. Una volta, un pilota lo vestivano con un certo tipo di tuta, il design sarà anche cambiato nel frattempo ma all’interno c’è sempre la stessa ‘bestia’ – il pilota.” Lo sa bene Roberto Locatelli che in 16 anni da pilota del motomondiale ha vissuto tutto gli alti (9 vittorie di GP, 25 podi, 18 pole e il titolo iridiato della 125 nel 2000) e bassi di una vita al limite.
Nella mente di un pilota del motomondiale
“Come reagisce un pilota a un infortunio? Io ho avuto quel risveglio dal coma. Avevo un problema alla caviglia, con dei ferri esposti a stabilizzare la frattura. Ero in sedie a rotelle ma come incontrai il dott. Costa, gli chiesi subito quando potevo tornare a correre”, ricorda un suo grave incidente avvenuto nel 2007.
“Presumo e penso che Aron Canet abbia vissuto le stesse sensazioni. Come Marc Márquez, quando nel 2020 ha tentato il rientro a Jerez solo una settimana dopo l’operazione all’omero ma non è riuscito a correre. Jorge Lorenzo in Olanda, che è ripartito dopo la fattura alla clavicola nelle prove libere del giovedì facendo quinto in gara. Sempre ad Assen, ha corso con una mano fratturata anche Loris Capirossi, dimostrando sempre la stessa cosa. Siamo piloti e quando arrivi ad essere un professionista vuol dire che dedichi la tua vita a quella cosa. Quella cosa che è il tuo sangue, quella cosa che ti dà vita. Quando invece sei costretto a fermarti, è normale che vogliamo tornare a correre. Noi piloti, per sentirci ‘normali’, guidiamo la moto. Non lo facciamo per i soldi, lo facciamo per sentirci vivi. Ed è per questo che dopo un brutto incidente il dispiacere è più grande dello spavento. Non si spegne il coraggio, l’attrazione. Non smettiamo di amare quello che è l’essere piloti. Con una gamba rotta o un’altra mancanza che non ci permette più di guidare, che ci ferma, andiamo in stand-by però non vediamo l’ora che il nostro caricabatterie ci permetta di ripartire. Questo caricabatterie per noi è la moto.”
Canet ha fatto qualcosa di straordinario
“Aron Canet ha fatto una cosa inumana per me che oggi non sono più un pilota ma capisco come abbia potuto farla. Mi ha stupito? Sì, perché non sai mai quanto sei pronto. Non mi ha stupito il fatto che sia tornato a correre, mi ha stupito perché ha fatto la pole. E la misura non è tanto l’essere riusciti a fare la pole. La misura è che lui, con un difetto fisico, con un piede rotto, ha fatto la pole. Questo non significa che andrà il doppio quando sarà guarito ma bisogna comunque rendersi conto di quanto sia forte. Mi ha stupito la sua pole, mi ha stupito per come ha condotto una gara in seconda posizione fino agli ultimi due giri, un podio poi sfiorato forse più per la partenza complicata che per la gestione di gara.”
“Quello che ha fatto Aron Canet per me è stato qualcosa di straordinario e se n’è accorto anche il mondo – non solo del fatto che i piloti sono in grado di fare questo ma che lui è uno di questi. Aron Canet è uno di loro, uno di quei piloti di altissimo livello”, sottolinea Loca.